Affrancazione vincolo prezzo massimo di cessione. Comune di Roma. Ordinanza Tribunale di Roma del 01.03.2019.

 

Pubblichiamo una nuova interessante pronuncia del Tribunale di Roma, X Sezione, in composizione monocratica, successiva alla norma introdotta con la Legge 17.12.2018 n. 136 di conversione, con modificazioni, del D.L. 119/2018.

  1. Varie erano state le eccezioni proposte in favore degli sfortunati venditori, chiamati in giudizio per veder dichiarare la nullità parziale della clausola relativa al prezzo, e che dal canto loro avevano nel 2004 acquistato essi stessi a prezzo di mercato dal primo acquirente, accendendo un mutuo.

Si premette che gli stessi, sin da subito, si erano offerti di pagare all’acquirente le somme necessarie all’affrancazione dal vincolo, non potendo provvedere personalmente all’epoca, essendo tale possibilità introdotta solo alla fine del 2018, con un emendamento in sede di conversione in legge dell’ormai noto decreto legge sulla cd. “pace fiscale”, ancora peraltro in attesa di apposito decreto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per determinare gli oneri di affrancazione in ragione del prezzo massimo di cessione e della durata residua del vincolo .

  1. Il Tribunale non ha applicato nel caso in esame, seppur sollecitato, la novella normativa (L.136/2018, ART. 25 undecies), in ciò a nostro avviso errando, limitandosi a dare atto dell’intervento del legislatore e dei presumibili effetti di esso. Ciò che preme in ogni caso sottolineare è la conferma di una interpretazione “costituzionalmente orientata” della ormai nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.18135/2015, che ha portato innumerevoli problemi e disperazione a tante famiglie, e la riconduzione del comportamento dell’acquirente ad un abuso del suo diritto, in violazione dei doveri contrattuali di buona fede e correttezza.

Pur non condividendo in toto le motivazioni del Tribunale romano nel rigetto delle diverse eccezioni formulate dalla parte venditrice, fondate sulla base di orientamenti consolidati della Suprema Corte, né la rilevata mancanza di responsabilità del notaio rogante l’atto di compravendita, né la mancata applicazione della novella normativa citata, si trova ancora conferma, anche in questa ordinanza, dell’orientamento della giurisprudenza di merito più conforme a giustizia in questa materia. Il Tribunale ha infatti nuovamente ritenuto la propria interpretazione delle norme sottese alla controversia, come esplicitate nell’ordinanza, come l’unica conforme a Costituzione, in difetto della quale “le eccepite disparità costituirebbero una patente violazione ai sensi dell’art 3 della Costituzione.”  L’ordinanza in questione è stata ovviamente appellata dall’acquirente, che con i propri difensori insiste davanti alla Corte d’Appello di Roma per ottenere il pagamento della differenza tra il prezzo massimo di cessione, determinato dal Consulente tecnico nominato, e quello di mercato, formulando anche eccezioni di incostituzionalità dell’art. 25 undecies della Legge n. 136 del 18 dicembre 2018, ed insistendo per la sua disapplicazione.

  1. Mentre infatti la Legge n. 136/2018, che ha introdotto il comma 49 quater n.3, consente oggi anche al venditore, che non è più proprietario, di presentare istanza di affrancazione e liberare dal vincolo l’immobile a suo tempo venduto a prezzo di mercato, pur se sottostando alle lungaggini burocratiche dell’Ufficio competente di Roma Capitale – si parla di almeno tre anni per il disbrigo della pratica relativa – e di bloccare così l’eventuale richiesta giudiziaria inviatagli dall’acquirente, ci auguriamo che al più presto venga emanato il decreto del Mef, con il quale vengano determinati una volta per tutte e chiaramente gli oneri di affrancazione, e venga consentito ai vecchi proprietari di svincolare gli immobili magari rateizzando gli importi dovuti.
  2. La procedura di affrancazione, introducibile con apposita istanza per la quale non è stata ancora adeguata la modulistica, ai sensi dell’art. 25-undecies della citata legge n. 136 del 17 dicembre 2018, è da subito idonea a rendere inefficace, e non già nulla, la clausola del prezzo indicata nell’atto di compravendita, per tutta la durata del procedimento amministrativo della affrancazione, alla cui conclusione diviene pienamente valida ed efficace.

Più precisamente, in base alla nuova disposizione di legge, l’affrancazione produce i seguenti effetti, oltre a quello specifico dell’eliminazione del vincolo di prezzo massimo di cessione:

  1. rende efficace, quindi valida, la clausola del prezzo convenuto eccedente al prezzo vincolato;
  2. estingue la pretesa di rimborso della differenza di importo fra prezzo convenuto e prezzo vincolato, ove inoltrata;
  3. elimina i vincoli soggettivi eventualmente previsti dalla convenzione o dalla legge per gli acquirenti.
  4. prevede che in pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell’immobile non produca effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. Rispetto alla previsione dell’art. 18, ultimo comma, del DPR 380/2001 (ex art. 8 L. n. 10/1977), richiamato dal comma 13 dell’art. 35 L. n. 865/1971, che prevedeva la nullità per ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione, la recente norma sancisce la diversa sanzione dell’inefficacia piuttosto che la nullità della clausola del prezzo convenuto, limitatamente all’eccedenza rispetto al prezzo vincolato. Il successivo perfezionamento della procedura di affrancazione costituisce pertanto, ai sensi della Legge 136 del 2018, condizione per la piena efficacia della clausola del prezzo indicato nell’atto di compravendita.
  5. A distanza di sei mesi il MEF non è intervenuto. Il Decreto Ministeriale ancora oggi atteso, per il quale il nuovo testo di legge ha eliminato la natura non regolamentare, doveva infatti essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, quindi entro gennaio 2019. Tuttavia in assenza di tale decreto e sin dal 18 dicembre 2018, ad oggi il corrispettivo di affrancazione non risulta in realtà determinabile, se non facendo ricorso alla delibera capitolina n.119/2018 del 23 ottobre scorso. E’pertanto inevitabile che il Comune di Roma Capitale abbia inserito, in attesa dell’auspicata emanazione del citato decreto attuativo, nelle attuali convenzioni, la clausola “salvo conguaglio”.

Nel frattempo, su continue sollecitazioni dei comitati degli sfortunati venditori e dell’interessamento trasversale di tutte le forze politiche in seno al Campidoglio, si parla di un nuovo auspicato intervento/delibera del Comune di Roma Capitale, atteso per la fine di settembre.

Nel frattempo, i malcapitati venditori continuano a doversi difendere in cause dall’evidente intento speculativo, e noi ad assisterli.

Avvocato Rodolfo Pacor                                                      Avvocato Isabella Castiglione

  1. R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

– X SEZIONE CIVILE –

in composizione monocratica,

Il Giudice unico dott. Antonio Perinelli

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Nel giudizio – ex articolo 702-bis c.p.c. – promosso da :

                                     , nata a

, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti

ed elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma alla via Emanuele Filiberto, n.166,

– Ricorrenti –

 Contro

rappresentati e difesi anche disgiuntamente dall’Avv.to

ED ELETTIVAMENTE DOMICILIATI PRESSO IL LORO STUDIO SITO IN Roma,

 giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta,

– Resistenti –

e

, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei medesimi difensori in Roma,

giusta delega ai sensi del novellato art. 83 c.p.c.,

– Terzo chiamato in causa –

Avente ad oggetto : Indebito oggettivo.

CONCLUSIONI

Il Procuratore di parte attrice rassegnava le seguenti conclusioni : “I. accertarsi e dichiararsi che il contratto di vendita delle porzioni immobiliari per cui é causa, stipulato tra le parti del giudizio, é parzialmente nullo, in particolare, all’art. 2 (pag. 3 del medesimo contratto), nella parte in cui si stabilisce il prezzo di vendita in € 353.500,00; II. accertarsi e dichiararsi che il prezzo della proprietà superficiaria relativa ai cespiti ceduti dal resistente è quello, stabilito “ex lege”, di € 61.425,82 o, in via gradata, di quello “ex lege” che emergerà all’esito del presente giudizio. III. Per l’effetto, voglia il sig. giudice disporre, ai sensi del combinato disposto dell’art. 35 della L. 865/1971, dell’art. 18 del D.P.R. 380/2001, nonché degli artt. 1418, 1419 e 1339 del codice civile, la sostituzione automatica del suddetto prezzo di vendita, come sopra dichiarato nullo, con quella stabilito “ex lege”, di € 61.425,82 o, in via gradata, a quello, “ex lege”, emerso all’esito della c.t.u. o che comunque emergerà all’esito del presente giudizio. IV. Per l’ulteriore effetto, condannarsi il sig.                 e la sig.ra                     , alla restituzione/ripetizione, in favore della sig.ra                        , di quanto da quest’ultima indebitamente pagato al suddetto resistente, per la causali di cui sopra, pari ad € 292.074,18 o, in via gradata, a quella determinata all’esito della c.t.u. o che comunque quella “ex lege” che emergerà all’esito del presente giudizio. V. – In via gradata, verificata la sussistenza delle ragioni di rilevanza e di fondatezza delle sopra sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25 undecies della Legge 136/2018, voglia il sig. Giudice rimettere quest’ultima norma all’esame della Corte Costituzionale, con conseguente interruzione necessaria del processo. VI. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa”.

Il Procuratore di parte resistente rassegnava le seguenti conclusioni : “confidano, pertanto, nell’accoglimento delle spiegate conclusioni, previo supplemento istruttorio stante l’intervenuta modifica normativa e l’attuale impossibilità dei resistenti di depositare autonoma domanda di affrancazione, facoltà astrattamente riconosciuta loro ex lege, e che consentirebbe l’estinzione della pretesa della ricorrente”.

Il Procuratore del terzo chiamato rassegnava le seguenti conclusioni : “Si insiste pertanto nell’accoglimento delle rassegnate conclusioni”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Colombo Alessandra conveniva in giudizio                              per sentir dichiarare la nullità parziale del contratto di compravendita stipulato tra le parti in data 04.12.2008, per la parte eccedente il prezzo massimo di cessione, pari nella fattispecie ad € 61.425,82 con conseguente condanna del venditore alla ripetizione, in loro favore, della somma di € 292.074,18, corrispondenti a quanto indebitamente pagato in eccesso rispetto al prezzo calcolato “ex lege”.

Esponevano i Difensori della ricorrente:

– che, in data 04.12.2008, con atto pubblico a rogito del notaio Dott.               rep.     , registrato in data 05.12.2008 presso Ufficio del Registro di               al protocollo n.          e trascritto in data 17.12.2008 presso conservatoria R.R.I.I. di Roma 1 al n.           di formalità (All. 1 al Doc. 1), il sig.              vendevano, alla sig.ra                  , per l’importo di € 353.500,00, la proprietà superficiaria delle seguenti porzioni immobiliari, site nel Comune di Roma, Piano di zona “Laurentino 38”, lotto   , Via                e precisamente: 1) appartamento posto al piano                 composto da salone, camera, cameretta, doppi servizi, cucina e due balconi, con annessa cantina posta al piano seminterrato, distinta con il n. 19/b; 2) posto auto coperto sito al piano primo sottostrada, ad uso pertinenziale dell’appartamento sopra descritto, distinto con il numero  . ette porzioni immobiliari, risultano censite presso il Catasto dei Fabbricati del comune di Roma al foglio  , particella  , con i seguenti numeri: Sub 501 Appartamento + Cantina e Sub  Posto auto;

– che il tutto, originariamente di proprietà del sig.      cui è pervenuto da  , con atto pubblico del 13.12.1988 rogito del notaio   , rep.  , registrato in data 02.01.1989 presso Ufficio del Registro di Roma, al protocollo n.   trascritto in data 09.01.1989 presso Conservatoria dei R.R.I.I. di Roma 1 al n.   di formalità, pagando la somma di Lit. 62.763.578 pari ad € 32.414,68 (All. 2 al Doc. 1);

– che l’ immobile in questione costituisce “ALLOGGIO SOCIALE di EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA” e precisamente di “EDILIZIA AGEVOLATA -CONVENZIONATA”, perché fa parte di un complesso edilizio edificato in regime di edilizia economica e popolare, su terreno prima espropriato e poi concesso dal Comune di Roma alla predetta cooperativa “          , in diritto di superficie per 99 anni, giusta convenzione urbanistica, rogata ai sensi dell’art. 35 della L. 865/1971, con atto pubblico a rogito del Notaio      rep. n.       del 13.02.1980, registrato in data 26.06.1980 presso Ufficio Del Registro di Roma al protocollo n.   e trascritto in data 02.10.1980 presso Conservatoria R.r.i.i Di Roma 1 al n.       di formalità (All. 3 al Doc. 1);

– che il sig.   e la sig.ra  , nell’art. 6 del predetto atto di vendita, garantivano alla sig.ra       acquirente che l’immobile in oggetto era libero da pesi, ipoteche, trascrizioni pregiudizievoli e vincoli di ogni altro genere;

– che, in realtà, gli immobili di che trattasi erano (e sono ancora) gravati dai vincoli al libero trasferimento, imposti dall’art. 35 della Legge 865/1971, così come riportati nella predetta Convenzione Urbanistica a rogito del notaio   (v. All. 3 al Doc. 1, art. 14) ed in particolare, a quello attinente al divieto di commercializzare il cespite in oggetto a prezzo libero di mercato;

– che tali circostanze, sono state sempre taciute alla sig.ra            dai sui danti causa, odierni resistenti;

 – che, in particolare, l’alloggio acquistato dall’odierno ricorrente, era (ed è rimasto ancora) gravato dal vincolo del prezzo massimo di cessione derivante dal combinato disposto del dettato dell’art. 35 della Legge 865/1971, dell’art. 18 del D.P.R. 380/2001, nonché dell’art.14 della predetta Convenzione Urbanistica ex art. 35 della Legge 865/1971 a rogito del notaio           (v. All. 3 al Doc. 1, art. 14);

– che il prezzo massimo di cessione veniva stimato, alla data del 4 dicembre 2008, da un proprio tecnico di fiducia in una misura non superiore ad € 61.425,82 (DOC.1).

Si costituivano in giudizio i resistenti eccependo, in via preliminare, il mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria nonché la necessità di mutamento del rito in ordinario al fine di eseguire una compiuta istruttoria.

Nel merito deducevano la mala fede dei ricorrenti e l’infondatezza delle loro domande di cui chiedevano il rigetto.

Venivano autorizzati a chiamare in causa il Notaio rogante Dr.        per essere manlevati in caso di condanna.

Quest’ultimo si costituiva in giudizio eccependo che la domanda principale dei ricorrenti di richiedere l’intera differenza di prezzo anziché i soli costi dell’affrancazione costituiva un’ipotesi di abuso del diritto.

Nel merito il terzo chiamato deduceva di aver svolto diligentemente il proprio mandato professionale e chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti.

Veniva nominato un CTU nella persona dell’Architetto  .

All’udienza del 07.02.2019 la causa veniva trattenuta in decisione previa concessione alle parti del termine di dieci giorni per il deposito di note conclusionali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. conveniva in giudizio  per sentir dichiarare la nullità parziale del contratto di compravendita stipulato tra le parti in data 04.12.2008, per la parte eccedente il prezzo massimo di cessione, pari nella fattispecie ad € 61.425,82 con conseguente condanna del venditore alla ripetizione, in loro favore, della somma di € 292.074,18, corrispondenti a quanto indebitamente pagato in eccesso rispetto al prezzo calcolato “ex lege”.
  2. Preliminarmente deve osservarsi che non può accogliersi l’istanza di rimessione in termini proposta dalla Difesa in relazione alla produzione documentale costituita dall’ istanza di affrancazione del vincolo di prezzo massimo presentata dai resistenti, in data 11.02.2019, presso il competente Ufficio del Comune di Roma Capitale.

Invero non si può tener conto di documentazione formatasi dopo che la causa veniva trattenuta in decisione.

  1. Parimenti deve essere disattesa l’eccezione d’improcedibilità della domanda giudiziale per non esser stato esperito il preventivo procedimento di mediazione previsto dal d.lgs. n. 28/2010.

Invero il presente giudizio ha ad oggetto la nullità parziale di un contratto di compravendita e pertanto non attiene alla materia dei diritti reali talchè non è necessario l’esperimento del preventivo procedimento di mediazione obbligatoria.

4.Nel merito occorre preliminarmente ricostruire i fatti di causa.

4.1.L’immobile oggetto della compravendita è stato edificato su area concessa in diritto di superficie mediante apposita convenzione alla cooperativa “  – Società a responsabilità limitata”, in diritto di superficie per 99 anni, giusta convenzione urbanistica, rogata ai sensi dell’art. 35 della L. 865/1971, con atto pubblico a rogito del Notaio   rep. n.   del 13.02.1980, registrato in data 26.06.1980 presso

 Ufficio Del Registro di Roma al protocollo n.   e trascritto in data   presso Conservatoria R.r.i.i Di Roma 1 al n.   di formalità.

4.2. La società            – Società a responsabilità limitata cedeva gli immobili oggetto di giudizio a

             (dante causa degli odierni resistenti) con atto pubblico del 13.12.1988 rogito del notaio           , rep.  , registrato in data 02.01.1989 presso Ufficio del Registro di Roma, al protocollo n.    e trascritto in data 09.01.1989 presso Conservatoria dei R.R.I.I. di Roma 1 al n.    di formalità, pagando la somma di Lit. 62.763.578 pari ad € 32.414,68 (All. 2 al Doc. 1).

4.3. Con atto pubblico di compravendita del 04.12.2008 a rogito del notaio Dott.       , rep.   , registrato in data 05.12.2008 presso Ufficio del Registro di Orbetello al protocollo n.   e trascritto in data 17.12.2008 presso conservatoria R.R.I.I. di Roma 1 al n.   di formalità (All. 1 al Doc. 1),

  vendevano, a                        , per l’importo di € 353.500,00, la proprietà superficiaria delle seguenti porzioni immobiliari, site nel Comune di Roma, Piano di zona “Laurentino 38”, lotto  , Via  ,   e precisamente: 1) appartamento posto al piano   della scala   distinto con l’interno n.  ) composto da salone, camera, cameretta, doppi servizi, cucina e due balconi, con annessa cantina posta al piano seminterrato, distinta con il n.  ; 2) posto auto coperto sito al piano primo sottostrada, ad uso pertinenziale dell’appartamento sopra descritto, distinto con il numero  . Dette porzioni immobiliari, risultano censite presso il Catasto dei Fabbricati del comune di Roma al foglio   , particella    , con i seguenti numeri: Sub     Appartamento + Cantina e Sub       Posto auto.

5.Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella nota sentenza n. 18135 del 16.9.2015, hanno affermato che il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene nei passaggi di proprietà,  a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la “ratio legis” di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita.

La Suprema Corte, in sintesi, ha fondato le proprie argomentazioni sull’entrata in vigore dell’art. 31 comma 49 bis della L. n. 448/1998 (per effetto del D.L. 13.5.2011 n. 70, convertito nella L.12.7.2011 n. 106), secondo il quale : “i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze, nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo…”.

Tale norma non avrebbe ragion d’essere se non fosse riferita anche ai trasferimenti successivi alla vendita, o all’assegnazione di alloggio, in proprietà, o in diritto di superficie effettuati dal titolare della concessione.

Tale indirizzo si è poi consolidato nelle sentenze successive (Cass., Sez. 2 – , Sentenza n. 21 del 03/01/2017 e n. 28949 del 04.12.2017).

  1. Ne deriva che la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto – ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c. – con altra contemplante il prezzo massimo.

7.I resistenti chiedono di accertarsi, in via incidentale, “la simulazione del prezzo della suddetta compravendita tra i resistenti ed il proprio dante causa, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, anche senza il contraddittorio delle parti del suddetto contratto” (Cfr. comparsa di costituzione e risposta).

 Tuttavia tale accertamento, oltre che inammissibile per assenza del contraddittore necessario, appare irrilevante ai fini del presente giudizio in cui si deve accertare quale sia il prezzo massimo di cessione previsto dalla legge.

  1. Chiedono ancora i ricorrenti l’applicazione dell’istituto della presupposizione che, nel caso di specie, atterrebbe “ad un elemento fondamentale del contratto di compravendita rogato, quale il prezzo di vendita, oltre che, ovviamente, all’oggetto della vendita ed alla stessa commerciabilità del bene a prezzi di mercato, ergo alla stessa piena regolarità e legittimità dell’atto di compravendita” formulando quindi “domanda espressa di accertamento e dichiarazione di invalidità o inefficacia, e comunque la risoluzione del contratto di compravendita concluso in data 4 dicembre 2008 per atto pubblico, rogato dal Notaio Capparella, per venir meno dei “presupposti” assunti dalle parti, nonché, in via di gradato subordine, la pronuncia di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, e/o la nullità per mancanza di causa o per violazione di norme imperative, in forza del richiamato istituto della presupposizione”.

In realtà, più che l’istituto della presupposizione che riguarda circostanze fattuali, i resistenti sembrano voler configurare un errore di diritto ex artt. 1427 e 1429 comma 2° cod. civ. in ordine all’esistenza ed alla permanenza dell’onere reale del prezzo massimo di cessione sull’immobile (errore su una qualità dell’oggetto della prestazione determinante del consenso).

Tuttavia le domande dei resistenti di annullamento o risoluzione del contratto non possono trovare applicazione.

Invero verificandosi la sostituzione automatica del prezzo massimo di cessione determinato per delega legislativa nella convenzione e negli atti amministrativi determinativi del Comune, alla clausola del contratto che prevedeva invece il prezzo di mercato, quest’ ultima non può considerarsi essenziale (vedi in tal senso Cass. sez. lav. 23.1.1999 n. 645); 2) dal momento che l’errore di diritto rileva soltanto se concerne circostanze esterne al contratto, influenti sulla valutazione soggettiva della convenienza del negozio mentre deve escludersi la rilevanza dell’errore del contraente che concluda il contratto ignorando l’esistenza delle norme imperative da cui deriva l’integrazione del negozio a norma dell’art. 1339 cod. civ. e quindi la modifica del regolamento contrattuale, attesa la mancanza del carattere esterno al negozio delle clausole rispetto alle quali si è verificata una sostituzione legale (vedi Cass. 21.12.1994 n. 11032).

Inoltre le convenzioni urbanistiche contenenti i prezzi massimi di cessione sono trascritte nei registri immobiliari, al pari delle convenzioni di rimozione dei vincoli del prezzo massimo di cessione, e che pertanto, anche a voler ritenere che per la loro natura formale convenzionale non sia invocabile, nonostante la loro sostanziale funzione normativa delegata quanto al prezzo massimo di cessione, il principio ignorantia legis non excusat, deve essere esclusa la necessaria unilateralità dell’errore, presupposto della sua riconoscibilità, in quanto entrambi i contraenti attraverso la consultazione dei registri immobiliari si sarebbero potuti rendere conto del permanere del vincolo del prezzo massimo di cessione (vedi Cass. n. 1970/1962), per cui l’alienante non può invocare la tutela del proprio affidamento nella possibilità di vendere a prezzo di mercato.

Da ultimo sull’argomento, nella gerarchia dei vizi del contratto che stabilisce l’ordine logico delle questioni che devono essere indagate, l’esame della questione della nullità parziale di una clausola contrattuale ex art. 1418 comma 2° cod. civ. per violazione di norma imperativa con conseguente sostituzione automatica ex art. 1339 cod. civ. precede quello della questione di annullamento del contratto per errore di diritto sulla clausola stessa, sicché tale ultima questione dovrebbe essere esaminata quando già la clausola nulla è stata sostituita dalla clausola valida del prezzo massimo di cessione.

9.Deve pertanto dichiararsi che il contratto di compravendita stipulato tra le parti in data 04.12.2008 è parzialmente nullo – ex artt. 1418 e 1419 secondo comma c.c. – in relazione alla clausola, con cui le parti hanno concordato il prezzo di vendita di € 353.500,00, con conseguente sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. del prezzo originariamente convenuto tra le parti.

  1. La ricorrente afferma che tale sostituzione debba riguardare la differenza tra il prezzo di vendita (€ 335.000,00) ed il prezzo massimo di cessione come accertato dal Consulente (€55.283,24).

11.Ritiene tuttavia il Tribunale che occorra considerare l’intera normativa.

Invero il meccanismo della nullità parziale presuppone che venga violata una norma imperativa e tale è quella che non lascia alcuno spazio all’autonomia delle parti (salva l’eventuale rinunzia ai diritti acquisiti).

Nel caso di specie tuttavia accanto alla normativa sopra richiamata prevedente il prezzo massimo di cessione il legislatore con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia 13 maggio 2011 n.70) ha aggiunto al comma 49 dell’art.31 (Norme particolari per gli enti locali) della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) il comma 49-bis, del seguente testuale tenore : “I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unita’ abitative e loro pertinenze nonche’ del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprieta’, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unita’ in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo…..”.

Il pagamento del corrispettivo costituisce : “una sorta di restituzione al patrimonio pubblico del beneficio economico fruito al tempo dell’assegnazione dell’area. Come dire che, versato un corrispettivo aggiuntivo al Comune, non sussiste più il rischio che la cessione della proprietà superficiaria dell’immobile al prezzo di mercato determini inammissibili speculazioni da parte del privato assegnatario” (Cfr. Tribunale di Roma, sentenza n. 9863/2014) consentendo così la liberazione dell’immobile dal vincolo reale gravante sullo stesso.

Che le due normative siano legate si evince anche dalla sentenza della Sezione Unite che ritiene sussistente il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971 “qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998”.

Il diritto alla rimozione del vincolo si configura come diritto potestativo non residuando in capo al Comune alcuna discrezionalità nella valutazione della domanda sussistendone i requisiti di legge.

L’esistenza di un diritto potestativo alla rimozione del vincolo non può non incidere sull’imperatività della norma che invece dovrebbe escludere ogni spazio all’autonomia privata.

  1. I resistenti affermano che, nel caso di accoglimento della domanda della ricorrente, si determinerebbe un indebito arricchimento della medesima di cui censurano il comportamento in mala fede.

La Difesa del terzo chiamato ipotizza, in tale ipotesi, un abuso del diritto.

Tali doglianze paiono fondate.

Invero si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti.

Per tale ragione si definisce l’abuso del diritto quale esercizio “controfunzionale” del medesimo.

La figura dell’abuso del diritto si evince dalla previsione di singole norme (art. 330 c.c. – abuso della potestà genitoriale; art. 1015 c.c. – abuso dell’usufruttuario; art. 2793 c.c. – abuso della cosa  data in pegno, art. 833 c.c. – abuso del diritto di proprietà riguardante i diritti reali e gli articoli 1175 e 1375 c.c. relativi ai diritti obbligatori).

L’istituto dell’abuso del diritto è oggi espressamente regolato dall’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea firmata a Nizza il 7 dicembre 2000.

Il Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009) ha quindi riconosciuto alla Carta di Nizza il medesimo valore giuridico dei trattati.

Si tratta pertanto di un istituto codificato che deve trovare applicazione anche nell’ordinamento Italiano.

Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale (Cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009).

Infatti l’abuso del diritto costituisce un limite esterno alla libertà contrattuale legato ai principi di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.) i quali rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti.

Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (Cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009).

La buona fede costituisce una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” di cui all’art. 2 Cost.

Nella Relazione ministeriale al codice civile si legge che il principio di correttezza e buona fede, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”.

La buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (Sez. 3, Sentenza n. 10182 del 04/05/2009 Rv. 608010 – 01).

La violazione delle regole di buona fede e correttezza determina un abuso del diritto istituto che viene utilizzato al fine di assicurare la coerenza dell’ordinamento giuridico.

Si legge in proposito nella sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in data 13 settembre 2005 n. 18128 in merito alla possibilità di riduzione d’ufficio della penale che : “Il secondo fondato sull’osservazione che l’esegesi tradizionale non appariva più adeguata alla luce di una rilettura degli istituti codicistici in senso conformativo ai precetti superiori della Costituzione, individuati nel dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), da valutare insieme ai canoni generali di buona fede oggettiva e di correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375 cod. civ.)”.

Dunque l’abuso del diritto svolge una funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore, quale limite all’esercizio delle corrispondenti pretese, avendo ciascuna delle parti contrattuali il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori (Cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17642 del 15/10/2012).

In altri termini la titolarità di un potere non consente di utilizzarlo secondo tutte le modalità in astratto ipotizzabili dovendosi preferire quelle soluzioni che incidono nell’assetto degli interessi in modo proporzionato.

Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto sono così individuati dalla giurisprudenza :

  1. titolarità di un diritto soggettivo;
  2. esercizio con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede;
  3. sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale;
  4. fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti.

Ritiene il Tribunale che tali elementi ricorrano nel caso in esame ove si consideri la disciplina applicabile nel suo complesso.

Invero i ricorrenti chiedono la restituzione del prezzo pagato in eccesso rispetto al prezzo massimo di cessione.

Questa richiesta sarebbe pienamente legittima ove l’ordinamento non concedesse altri rimedi per liberare il bene e pertanto il vincolo del prezzo massimo fosse destinato a seguire il bene – quale onere reale – per tutti i trasferimenti futuri come affermato dalle Sezioni unite.

In realtà così non è in quanto è riconosciuto al proprietario (ma non a colui che ha venduto) di procedere all’affrancazione del bene pagando un prezzo.

Viene così frustrata la ratio della norma di calmierare il mercato immobiliare.

Ciò consente di liberare il bene dal vincolo e quindi permette di raggiungere un risultato più favorevole della mera restituzione del prezzo pagato in eccesso.

La Corte di Cassazione ha ritenuto “sleale” “il comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento pur avendo altre vie per tutelare i propri interessi” (Cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13208 del 31/05/2010).

Se la sostituzione automatica di clausole deriva direttamente dalla legge l’azione di restituzione è invece nella disponibilità dell’acquirente.

Pertanto l’acquirente che, pur potendo affrancare il bene, richieda la differenza di prezzo esercita il suo diritto (ad avere un bene libero da vincoli) in maniera contraria ai doveri di buona fede e correttezza.

13.La stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 29949 del 04.12.2017 non esclude, a priori, la configurabilità dell’abuso del diritto disconoscendolo nel caso sottoposto al suo esame in quanto la condotta non aveva “causato alcuna sproporzione o ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale”.

Nel caso in esame invece tale sproporzione esiste ove si consideri che il CTU poteva accertare che il : “Prezzo massimo di cessione degli immobili di causa alla data del 04/12/2008 (data atto Notaio Dott.    ) con riduzione del 10% per età compresa tra 10 e 20 anni: € 55.283,24 (Euro cinquantacinquemiladuecentottantatre/24)” laddove il prezzo pattuito era pari ad € 335.000,00.

Mentre le : “Somme necessarie per il riscatto degli immobili di causa (corrispettivo di affrancazione dal vincolo relativo al prezzo massimo di cessione calcolato sulla base dell’ultima deliberazione dell’assemblea capitolina n° 116 del 23/10/2018) : CAffr. = € 17.431,14 (Euro diciassettemilaquattrocentotrentuno/14)”.

Si legge nella sentenza C-373/97 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che : “il diritto comunitario non osta a che i detti giudici applichino la detta disposizione del diritto interno nel caso in cui un azionista abbia optato, tra i rimedi giuridici disponibili per ovviare ad una situazione determinata dalla violazione della direttiva, per quello produttivo di un danno talmente grave ai legittimi interessi altrui da risultare manifestamente sproporzionato”.

La scelta operata dai ricorrenti appare contraria ai doveri di buona fede e correttezza nonché ai principi dell’ordinamento in quanto essi chiedono la restituzione del prezzo eccedente quello massimo conservando altresì la possibilità di richiedere l’affrancazione preferendo così lo strumento più gravoso per i debitori e conseguendo in tal modo obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore.

Anche se tale intento non può definirsi emulativo la scelta dei ricorrenti dell’opzione della restituzione del prezzo eccedente quello massimo in luogo dell’affrancazione, per la loro utilità con aggravamento ingiustificato della posizione dei resistenti, deve considerarsi lesiva del principio di buona fede e costituisce pertanto un’ipotesi di abuso del diritto.

14.Nel caso in cui venga accertato una situazione di abuso del diritto la reazione dell’ordinamento consiste nel negare la tutela ai diritti esercitati in violazione delle regole di buona fede e correttezza che debbono presiedere i rapporti contrattuali.

Troverà quindi applicazione l’exceptio doli generalis istituto che consentiva nel diritto romano al Pretore di tutelare situazioni in contrasto con lo ius civile.

Si tratta di un’azione di natura oggettiva che consente al debitore di opporsi a pretese del creditore che, pur apparentemente conformi al diritto esercitato, costituiscono un esercizio scorretto dello stesso in quanto volto a perseguire interessi non tutelati dall’ordinamento (cfr. artt. 1241 ss., 1260, 1359, 1426, 1438, 1460, 1490).

15.La pretesa dei ricorrenti deve pertanto essere limitata alle somme necessarie per ottenere l’affrancazione pari ad euro € 17.431,14 cui debbono aggiungersi le spese per avvalersi di un tecnico liquidate equitativamente in complessivi € 5.568,86 per complessivi € 23.000,00.

Tali valutazioni sono effettuate ai valori attuali della moneta e debbono ritenersi comprensive di interessi e rivalutazione monetaria.

16.Quest’interpretazione è l’unica che consente un’applicazione della norma conforme alla Costituzione altrimenti determinandosi un’ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che sono stati proprietari degli immobili sino al luglio 2011 che non hanno avuto la possibilità di affrancare l’immobile e potrebbero pertanto essere tenuti a restituire le somme versate in eccedenza e quelli divenuti proprietari successivamente a tale data cui invece è stata riconosciuta la possibilità di affrancare il bene e di rivenderlo senza limiti di prezzo.

Tale disparità costituirebbe una patente violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

17.Essa risulta corroborata alla luce della legge 17 dicembre 2018 , n. 136 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria).

Tale norma così dispone : “Art. 25-undecies ( Disposizioni in materia di determinazione del prezzo massimo di cessione ). — 1. All’articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 49 -bis è sostituito dal seguente: “49 –bis I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile, e soggetti a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il decreto di cui al periodo precedente individua altresì i criteri e le modalità per la concessione da parte dei comuni di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati”; b) dopo il comma 49 -ter è inserito il seguente: “49 -quater . In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49 -bis e 49 -ter , il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato.

L’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49 -bis e 49 –ter. La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva”.

In base all’articolo 49-quater “In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato”.

Dunque la presentazione dell’istanza di affrancazione che ora può avvenire “a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile” rende inefficace il contratto di compravendita “limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato”.

L’azione di restituzione dell’indebito viene così paralizzata anche se il relativo diritto si estinguerà solo “con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49 -bis e 49 –ter” .

18.La domanda della ricorrente deve essere pertanto parzialmente accolta e, per l’effetto,                   , in solido tra loro, debbono essere condannati a pagare a                           la somma complessiva di € 23.000,00.

19.La domanda di garanzia esercitata dalla ricorrente nei confronti del Notaio deve invece essere respinta.

Deve innanzitutto osservarsi come – in base all’articolo 27 della legge notarile – il notaio è obbligato a stipulare l’atto fatta eccezione dei casi di cui al successivo articolo 28.

Nel caso in esame, prima della sentenza delle Sezioni Unite del 2015, l’interpretazione maggioritaria in giurisprudenza riteneva che gli immobili dell’edilizia agevolata fossero liberamente trasferibili senza limiti di prezzo.

Nello stesso senso erano anche il parere espresso dal Consiglio Nazionale del Notariato del 20.10.2011 ed le indicazioni fornite dal Comune di Roma nella circolare del 2013.

Nel caso in esame poi l’atto veniva stipulato nel 2008 prima dell’entrata in vigore dell’art. 31 comma 49 bis della L. n. 448/1998 (per effetto del D.L. 13.5.2011 n. 70, convertito nella L.12.7.2011 n. 106),

Nessuna mancanza di diligenza può pertanto ravvisarsi nell’operato del Notaio               .

20.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo sulla base della legge 27/2012 e articoli 1-11 DM 55/14 in relazione al valore della causa  ………………..

21.Le spese di Consulenza vanno poste definitivamente a carico di                          in solido tra loro.

P.Q.M.

Il Tribunale ordinario di Roma – X Sezione civile, in composizione monocratica, pronunciando nella causa tra le parti in epigrafe meglio indicate così provvede :

  1. dichiara che il contratto di compravendita stipulato tra le parti in data 04.12.2008 è parzialmente nullo ex artt. 1418 e 1419 secondo comma c.c. in relazione alla clausola con cui le parti hanno concordato il prezzo di vendita;
  2. in accoglimento parziale della domanda della ricorrente condanna , in solido tra loro, a pagare a              la somma complessiva di € 23.000,00;
  3. condanna , in solido tra loro, a rifondere a  le spese di lite che si liquidano in complessivi euro €       oltre ad € 178,00 di spese oltre ad iva e cpa come per legge;
  4. spese compensate per quanto concerne la posizione della terza chiamata;
  5. pone le spese di Consulenza definitivamente a carico di in solido tra loro.

Roma il 07/03/2019.

Il GIUDICE

firmato digitalmente da

 

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